Fiabe
Ovest Europa

Un vitellino come fratello

level 2
Difficoltà **

Riassunto: Fratello e sorella si perdono nel bosco. Nonostante il divieto dell’una, lui beve ad una fonte trasformandosi in vitello. Accolti da un principe innamorato della ragazza, ritrovano il padre e la matrigna. Essa cercherà di ucciderli di nuovo ma il piano sarà sventato.

C’era una volta una famiglia molto felice ma come spesso succede quella felicità andò presto in frantumi, la madre infatti si ammalò e morì lasciando l’uomo solo con i due figli: un bambino e una bambina.

Trascorso qualche anno l’uomo decise di risposarsi con una vedova madre di una ragazzina tanto brutta quanto antipatica.

La donna forse per questo era gelosa dei figli del marito che al contrario erano non solo gentili e ben educati ma anche molto belli.

La matrigna faceva di tutto per potersene liberare.

Un giorno che il marito era lontano per lavoro li chiamò dicendo:“Figli cari, vostro padre ha dimenticato alcuni importanti documenti e mi ha scritto che vuole che voi glieli portiate.”

Come il lupo di Cappuccetto Rosso, suggerì ai due ragazzi la strada più impervia e difficile facendoli perdere nel fitto del bosco.

Dopo molti giorni di cammino Ermengarda si accorse che continuavano a vagare senza metà e che si erano irrimediabilmente smarriti.

Le loro scarse provviste erano terminate e Teseo era assetato.

Vedendo una fonte il fanciullo si precipitò per bere, ma la sorella più attenta e cauta lo fermò: “Non possiamo fidarci forse prima di bere è meglio chiedere.”

Fonte sacra fonte

Che sgorghi giù dal monte,

Se berti ti dovrò

In cosa mi trasformerò?”

L’acqua gorgogliante rispose:

Per i prossimi sette anni

Sarebbero solo affanni.

Le mie acque dal sapore amaro

Ti muterebbero in un somaro.”

Convinto da quanto aveva udito, Teseo decise di attendere la fonte successiva, ma l’arsura si faceva sempre più intensa.

Cammina, cammina incontrarono un torrente, Teseo si stava letteralmente per tuffare ma ancora una volta la previdente sorella riuscì a fermarlo e a chiedere:

Torrente che scorri irruento

Se bevo le tue acque

Quale sarà il mio cambiamento?”

Per i prossimi sette anni

Sarebbero solo affanni.

Se dal mio greto tu berrai

Un ovino diverrai.”

La fanciulla trascinò via con fatica il fratello recalcitrante ma fatti pochi passi ecco un ruscello.

Ermengarda stava ponendo la solita previdente domanda, alla quale il rio rispose:

Per i prossimi sette anni

Sarebbero solo affanni.

Se berrai dal mio ruscello

Cambierai in un vitello.”

Teseo troppo assetato per curarsi della minaccia incombente si mise a bere.

Quando la sorella si accorse era ormai troppo tardi e sulla testa di Teseo ormai trasformato in vitello spuntarono due paia di corna dorate.

Entrambi cominciarono a piangere per questa ennesima sventura, tuttavia le lacrime non servirono a ridare a Teseo la sua forma umana.

“Non preoccuparti fratellino mio, io mi prenderò cura di te e per i prossimi sette anni non ti lascerò mai più solo.”

Incuriosito da quei lamenti, un Principe che andava a caccia in quella foresta si avvicinò all’insolito duo e chiese perché piangessero tanto.

“Io e il mio vitello”, disse Ermengarda tra un singhiozzo e l’altro, “ci siamo smarriti.”

Vedendo quella fanciulla tanto disperata ne ebbe compassione e le offrì ospitalità nel proprio castello.

Passarono gli anni e la grazia e la bellezza di Ermengarda fecero innamorare il Principe a tal punto che le chiese di sposarlo.

La loro vita era felice, solo una piccola ombra si annidava nel cuore della ragazza per le sorti del fratello, al quale restava ancora un anno prima di riprendere le proprie sembianze umane.

Un giorno tra i mercanti che mensilmente si presentavano a corte a proporre le proprie merci, Ermengarda riconobbe il vecchio padre.

La gioia dell’uomo nel riabbracciare la figlia fu inenarrabile, poiché li credeva ormai morti.

La Principessa invitò il padre e la sua famiglia a vivere al castello, per poter recuperare il tempo perduto.

Quando la matrigna seppe che non solo la figliastra era viva ma che aveva addirittura sposato il Principe, rodendosi d’invidia, cominciò a pensare al modo in cui potersene liberare definitivamente.

Dopo qualche mese che si trovava a corte con la figlia, che crescendo si era fatta ancora più brutta, le si presentò l’occasione.

La Principessa infatti aveva organizzato una gita in barca.

Giunti in mezzo al mare, la matrigna prese Ermengarda per i piedi e la gettò in acqua, mentre passava un grosso pescecane, che se la inghiottì in sol boccone.

Tutta soddisfatta per questa definitiva soluzione, la matrigna tornò al castello, prese gli abiti di Ermengarda e li fece indossare alla figlia.

Il Principe tornato a casa trovandosi di fronte quella sposa irriconoscibile chiese spiegazioni.

“Mio adorato sposo”, piagnucolò l’orrida ragazza, “è stato il vitello! Senza motivo mi ha dato una cornata in faccia, sfigurandomi nel modo che vedete!”

Il Principe fuori di sé dalla rabbia, non pensando all’assurdità del racconto, dato che il vitello e la fanciulla si adoravano, chiamò un soldato e ordinò l’immediata uccisione dell’animale.

Il soldato condusse il vitello in riva al mare.

Il quale, disperato piangendo e muggendo diceva:

Sette anni sono passati

La matrigna ci ha perseguitati

Due volte ci ha traditi

E alla morte condannati.”

Il soldato a sentire quei lamenti strazianti non riusciva a trovare il coraggio e si mise ad accarezzare la testa dell’animale notando che le sue corna non erano più lucenti e dorate.

Si ricordò allora che molti anni prima, la Principessa si era ammalata e le corna del vitello erano misteriosamente divenute nere finché non era sopraggiunta la guarigione.

Immediatamente corse al castello per parlare con il Principe.

Il vitello lasciato solo sulla spiaggia, entrò in acqua e cominciò a nuotare a largo dove aveva avvistato il pescecane, che lo inghiottì così come aveva fatto con la sorella.

Finalmente i due fratelli, sebbene in circostanze molto difficili erano riuniti!

Il soldato sconvolto per quello che aveva visto e sentito, nonostante fosse consapevole che la sua disubbidienza avrebbe potuto essere pagata con la propria vita, confessò al Principe di non aver ucciso personalmente il vitello, di avergli visto divenire le corna più nere della pece e che lo aveva sentito pronunciare un’accusa molto precisa verso la matrigna della Principessa!

“Tuttavia”, raccontò il soldato, “non appena ha capito che lo avrei risparmiato si è gettato in acqua e si è fatto mangiare dal pescecane.”

Ora anche il più sciocco degli sciocchi potrebbe trarre la giusta conclusione, infatti il Principe che sciocco non era, non considerò neppure l’ipotesi di punire il soldato ma insieme si recarono sulla spiaggia.

Il Principe diede ordine di trovare il pescecane, tutti i pescatori scesero in mare e dopo giorni di pesca infruttuosa finalmente rientrarono nel porto annunciati dal suono delle campane, portando la preda tanto ambita.

Il grosso pesce fu aperto e ne saltarono fuori, un po’ ammaccati ma vivi la Principessa e suo fratello che aveva ripreso sembianze umane essendo ormai trascorsi sette anni.

Il Principe abbracciò la moglie ritrovata e il fratello che non conosceva.

La matrigna e la figlia furono fatte arrestare e condannate alle stesse torture imposte ai due ragazzi.

Perse nella foresta, assetate dopo giorni di cammino, bevvero alla prima fonte e furono trasformate in asini.

Gettate in mare, vennero mangiate da un grosso pescecane.

A nessuno interessò mai ripescarle.

Barbara Lachi from: 1.SEBASTIANO VASSALLI, Fiabe Romagnole e Emiliane, BÈE! COLTELLO AFFILATO*, scelte da Elide Casali; (prima edizione febbraio 1986), Edizioni Oscar Mondadori, Milano 1999; dalle raccolte pubblicate su “La Piê” 1923/1933 da GIOVANNI BAGNARESI (“BACOCCO”)
2. ITALO CALVINO, Fiabe Italiane, (prima edizione 1956), Edizioni Oscar Mondadori, Milano 2002. Titolo: Il vitellino dalle corna d’oro N°178 vol. III; da GIUSEPPE PITRÉ, Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, 283 La Parrasta, Agrigento, 1875

La fiaba è stata scritta da Barbara Lachi che ha utilizzato come fonte principale la raccolta Fiabe Italiane di Italo Calvino. Le versioni di Barbara Lachi sono nella maggioranza dei casi la riscrittura, al fine di evitare problemi dovuti ai diritti d’autore, ma molte delle fiabe hanno subito vere e proprie modifiche nell’andamento e nei finali.