Fiabe
Ovest Europa

Sette di Tutto

level 2
Difficoltà **

Riassunto: Una giovane deve superare tre prove proposte dal futuro sposo, filare in breve tempo molti sacchi di canapa. Sarà aiutata da tre anziane fate di cui dovrà ricordarsi i nomi per invitarle al proprio matrimonio, pena la loro vendetta.

C’era una volta una grande e bella ragazza di nome Florinda, molto ma molto golosa, talmente golosa che di tutto mangiava sempre sette piatti.

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Un giorno se ne stava sul proprio balcone a mangiare e intanto contava: “Uno, due e tre, e quattro, cinque, sei, e sette!

“Sette di cosa?” Chiese un giovane mercante che passava, rimasto deliziato da quella bella ragazzona.

“Sette fusi di canapa!” Rispose la madre che trovava sconveniente il grande appetito della figlia.

“Quand’è così vorrei che diventasse mia moglie.” Disse il giovane e la condusse con sé al palazzo.

“Adesso”, le disse, “io dovrò partire per un lunghissimo viaggio d’affari. Qui ci sono sette sacchi di canapa da filare. Nel tempo che ci separa vorrei che li filassi tutti, così al mio ritorno ci sposeremo.”

L’uomo partì e la fanciulla si dedicò a ciò che amava fare davvero: mangiare.

Sette piatti di zuppa, sette trote, sette fette di torta… Sette di tutto.

Intanto i giorni passavano e Florinda non aveva filato neanche un sacco, finché una mattina le fu comunicato che il giovane mercante sarebbe tornato il giorno dopo.

A Florinda, sembra impossibile crederlo, passò la fame.

I sette enormi sacchi erano intonsi tutti di fronte a lei e il tempo non sarebbe bastato neppure per filarne uno soltanto.

Florinda cominciò a piangere, dapprima in maniera sommessa, ma più il tempo passava più il suo pianto diventava disperato.

Piangeva talmente tanto che non si accorse che dalla finestra era balzato dentro un enorme gomitolo di fili intrecciati, che rimbalzava sulle pareti della stanza finché, fermatosi ai suoi piedi cominciò a sfrenarsi e a sciogliersi rivelando una vecchia con lunghi capelli e con lunghe ciglia, bianchi.

“Non preoccuparti,” le disse la vecchia con voce gentile, “ti aiuterò io.”

“Vi pagherò.” Disse allora Florinda, ricomponendosi e asciugandosi le lacrime.

“Non è necessario, basterà che mi inviti al tuo matrimonio.”

“Consideratelo già fatto! Cosa devo scrivere nell’invito?”

“Devi solo pronunciare il mio nome per tre volte e dire: ROSA, ROSA, ROSA vieni qui! Ed io arriverò subito.” Disse sorridendo ma divenendo subito molto seria e corrucciata, e con l’indice sollevato verso Florinda continuò, “…Bada bene però che se dovessi dimenticarti di invitarmi la pagherai molto cara!”

Un po’ spaventata, Florinda sorrise timidamente e scosse la testa.

“Non mi dimenticherò.” Disse con un fil di voce, mentre la vecchia cominciava a filare così velocemente che quasi Florinda non riusciva a vederla.

Florinda aveva appena detto l’ultimo grazie che tutti i sette sacchi erano filati.

Finalmente Florinda poté vedere la vecchia, le cui già lunghe ciglia erano raddoppiate, adesso le arrivavano fino al pavimento.

La vecchia salutò, sollevando l’indice come monito e subito scomparve tra fili che si

raggomitolavano e sparì dalla finestra da cui era entrata.

Il giorno dopo tornò il futuro sposo, che nel vedere tutto il lavoro ben fatto la elogiò moltissimo, dandole tutti i regali che le aveva riportato: abiti e gioielli sontuosi.

“Purtroppo” disse il giovane mercante “già domani devo ripartire e dunque non c’è il tempo di organizzare le nostre nozze. Starò via per un lungo tempo, ma tu nell’attesa potrai filare questi altri sette sacchi. Quando tornerò ci sposeremo.”

Come la volta precedente, mentre la nave si allontanava dal porto, Florinda si era già recata in cucina, pronta ad ordinare i suoi sette piatti di vellutata, sette budini al cioccolato e sette mele caramellate, dimenticandosi dei sacchi da filare.

Passarono i giorni e di nuovo giunse notizia dell’imminente ritorno del futuro sposo.

Florinda si mise a piangere disperatamente, la sua bella e larga faccia era solcata da lacrime così copiose da sembrare un fiume in piena.

Piangeva e singhiozzava, mormorando: “Povera me!”

Dalla finestra aperta entrò un gomitolo ancora più grande che rimbalzò e rotolò ai suoi piedi.

Da quel groviglio intricato di fili uscì fuori una vecchia con le labbra più grandi che avesse mai visto.

“Non preoccuparti, non piangere ci penserò io.”

“Vi pagherò molto bene, nonnina cara!” Le disse Florinda asciugandosi i grandi occhi e tirando un po’ su con il naso.

La vecchia, sembrava quasi non prestarle ascolto tanto era indaffarata a inumidire i fili di canapa che passava nei fusi, con i quali tesseva e tesseva talmente velocemente che presto la stanza si riempì di tessuti meravigliosi.

“Come posso ringraziarvi?” Chiese Florinda meravigliata ma anche un po’ esterrefatta dato che le labbra della vecchia erano cresciute, a dismisura durante la tessitura.

“Devi solo invitarmi al tuo matrimonio. Dovrai pronunciare il mio nome: ROSAE, ROSAE, ROSAE VIENI QUI! E io arriverò subito, non devi fare altro… ma bada bene, se ti dimenticherai di me, rimpiangerai di essere nata!” Disse la vecchia con sguardo torvo e un ghigno di proporzioni mai viste, data la sua enorme bocca.

Florinda ringraziava ancora mentre la vecchia tornata ad essere un gomitolo saltava fuori dalla finestra.

Il mercante abbracciò la sposa e nel vedere tutti quei tessuti si complimentò per la sua bravura. Tuttavia anche stavolta gli impellenti impegni di lavoro lo portavano a ripartire subito, addirittura il giorno stesso.

“Questo è l’ultimo viaggio mio adorata, dopo potremo finalmente stare insieme e sposarci. Ti lascio altri sette sacchi da filare in attesa del mio ritorno.”

La nave era appena partita che Florinda si era già messa a mangiare.

I giorni trascorsero via veloci tra portate succulente e manicaretti.

Deliziata da tutto quel cibo Florinda anche stavolta aveva dimenticato i sette sacchi, rimasti intatti come prima della partenza del mercante.

Cioccolato, confetture, formaggi squisiti occupavano i pensieri di Florinda finché giunse il giorno del ritorno.

Dal porto si poteva avvistare la nave in lontananza, di lì a poche ore il suo sposo sarebbe tornato. Lo sgomento fu totale.

Florinda fu presa da terrore di perdere tutto quanto e cominciò a piangere senza ritegno, la faccia contorta in una smorfia di puro dolore.

Sconvolta com’era non si accorse dell’incredibile ed enorme gomitolo che rotolò mollemente dalla finestra.

I fili si sciolsero e liberarono una vecchia con i denti più grandi che avesse mai visto.

Talmente grandi che ne ebbe paura e se non avesse visto prima le altre due, di certo di fronte a questa sarebbe fuggita.

La vecchia come le altre la rassicurò, e cominciò a filare i setti sacchi e mentre lo faceva i denti crescevano ancora di più.

Come le altre non volle alcuna ricompensa in denaro ma la promessa di essere invitata alle nozze.

“Basterà che tu dica ROSAM, ROSAM, ROSAM VIENI QUI! E io arriverò… però se ti scordassi di farlo, rimpiangerai di non essere morta.”

La vecchia scomparve nel momento esatto in cui il mercante entrò nella stanza.

Vedendo la canapa filata, senza porre altro tempo in mezzo fissò la data di lì a tre giorni.

Tra le mille cose da fare, gli abiti, il banchetto, le solite sette portate quotidiane, Florinda si dimenticò delle vecchie fino alla mattina delle sue nozze.

Per quanto si sforzasse di ricordare i nomi sembravano si fossero volatilizzati dalla sua memoria.

Più si concentrava e più si innervosiva: – Viola, violetta? Margherita margheritona… Lillà! Rosa, rosetta? –

Florinda si mise a piangere e più il mercante le chiedeva il motivo e più lei piangeva.

Si decise così di rimandare le nozze al giorno successivo, e poi a quello dopo e a quello dopo ancora ma Florinda continuava a piangere.

Il giovane mercante decise di uscire a fare quattro passi per le sue tenute, sperando di trovare una soluzione.

Mentre camminava immerso nei suoi pensieri cominciò a piovere, poco distante c’era un casolare, dove trovò riparo.

Dalla finestra vide tre vecchie, una con le ciglia lunghe da spazzare il pavimento, una con i denti grossi da grattarsi le ginocchia e una con le labbra che le coprivano i piedi.

“Oh Rosa sorella mia, oh Rosam sorella mia! Avete avuto notizie?”

“No Rosae sorella mia.”

Erano le donne più brutte e buffe che avesse mai visto.

Di certo, pensò il racconto di questa scena farà tornare il sorriso alla mia sposa.

Florinda intanto che dalla disperazione quasi non taccava piatto e invece dei suoi soliti sette ne mangiava a malapena cinque, accolse lo sposo con il solito sguardo lacrimoso e triste.

“Ho visto tre vecchie sorelle Rosa, Rosae, e Rosam talmente brutte che non ho potuto resistere, dal ridere: una con le ciglia lunghe da spazzare il pavimento, una con i denti grossi da grattarsi le ginocchia e una con le labbra che le coprivano i piedi.”

Un sorriso le illuminò il volto e poi una risata come uno scroscio di pioggia riempì la stanza. Appena sentiti i nomi delle vecchie a Florinda tornò il buonumore e finalmente fissarono le nozze per il giorno seguente.

Dato che erano state la causa del ritorno del sorriso sul volto della sua amata, il mercante non disse di no, e le vecchie furono invitate.

Al tavolo dove erano sedute non si capiva dopo cominciava l’una e finiva l’altra, tra ciglia lunghissime, denti sporgenti e labbra penzoloni. Incuriosito il mercante chiese a ciascuna di loro perché…

“…È per aguzzare la vista e infilare bene il filo.” Disse la vecchia con le lunghe ciglia.

“È per inumidire il filo.” Disse la vecchia con le labbra gigantesche.

“È per spezzare con i denti il filo.” Disse l’ultima vecchia con i grossi denti sporgenti.

Il mercante spaventato prese il fuso di Florinda e lo gettò nel fuoco.

“Da ora in poi non ti chiederò più di filare.” Disse, mentre Florinda sorridendo mangiava la sua settima fetta di torta nuziale.

Barbara Lachi from: ITALO CALVINO, Fiabe Italiane, (prima edizione 1956), Edizioni Oscar Mondadori, Milano 2002. Titolo: E Sette! N°15 vol. I; da JAMES BRUYN ANDREWS, Contes ligures, tradition de la Rivieère, recueillis entre Menton et Gênes, Les trois fileuses (4,23,47) Parigi 1892

La fiaba è stata scritta da Barbara Lachi che ha utilizzato come fonte principale la raccolta Fiabe Italiane di Italo Calvino. Le versioni di Barbara Lachi sono nella maggioranza dei casi la riscrittura, al fine di evitare problemi dovuti ai diritti d’autore, ma molte delle fiabe hanno subito vere e proprie modifiche nell’andamento e nei finali.