C’era una volta un bellissimo giovane di nome Sigismondo, talmente bello che sembrava che il sole lo avesse baciato in fronte.
Rimasto orfano, non avendo di che vivere, decise di andare a cercare lavoro e si mise in viaggio.
Cammina, cammina, giunse alla corte del Re e chiese di poter lavorare.
Il Re lo guardò, lo soppesò e trovandolo bello decise di assumerlo come ciambellano.
Passarono pochi giorno e Sigismondo si accorse che la Regina lo guardava con sguardo languido e innamorato.
Quando si trovavano nella stessa stanza la Regina sospirava, lunghi e profondi sospiri. Sospiri d’amore.
Sigismondo capì che se voleva salva la testa non poteva restare e dunque ripartì.
Giunto ad un’altra corte chiese di essere assunto.
Il Re vedovo, lo soppesò e trovandolo molto bello decise di assumerlo come ciambellano. Sigismondo era finalmente felice ma la sua felicità ebbe breve durata.
Il Re infatti aveva una figlia.
Ogni qual volta Sigismondo entrava o usciva da una stanza in cui vi fosse anche la Principessa, il suo passaggio era seguito da risolini e gridolini… e presto venne il momento di lasciare anche quella dimora.
Prima che accadesse l’irreparabile e che la sua testa si ritrovasse a vagare lontana dal suo corpo.
Sigismondo passò di corte in corte, ma ogni volta c’era una dama, una regina, una principessa che si innamorava perdutamente di lui… e dato che ci teneva moltissimo a restare tutto intero, ogni volta era costretto ad allontanarsi.
-Non so cosa darei per essere lasciato in pace, farei di tutto per vivere finalmente la mia vita e non dover dipendere da nessuno, perfino vendere l’anima al Diavolo. –
Non aveva finito di pronunciare queste parole che un uomo vestito di nero, spuntato da chissà da dove si sedette accanto a lui.
“Mio caro Sigismondo, ecco qui ciò chiedi. Indossa questi abiti.” Disse porgendogli dei vestiti lerci e malconci che emanavano già un gran fetore.
“Inoltre”, aggiunse, “dovrai smettere di lavarti, tagliarti unghie e capelli. Per il resto dovrai solo chiedere e tutto ciò che chiederai, lo avrai. Fra sette anni tornerò a prendermi quello che mi spetta.”
Sigismondo si spogliò e indossò quei panni lisi e bisunti non senza provare un po’ di disgusto. Mentre si infilava la camicia l’uomo svanì.
Stanco si gettò sull’erba sotto l’albero e si addormentò.
Al mattino appena sveglio sentì che le tasche dei pantaloni erano diventate davvero pesanti, mise una mano in tasca e cominciò a tirarne fuori monete, sembrava che le sue tasche fossero senza fondo perché le monete continuavano ad uscire.
Trascorsero alcuni anni, la sua bellezza ormai era nascosta sotto centimetri di sporcizia, i capelli divenuti un ammasso informe con la barba lo facevano assomigliare ad un cespuglio scarmigliato dal vento.
Le sue unghie, sia quelle delle mani che quelle dei piedi erano cresciute così tanto da sembrare radici contorte.
Non soltanto non era bello ma non sembrava neppure più umano, ma una sorta di strano animale informe e repellente.
Un giorno stanco della sua vita errante, decise di stabilirsi in città e chiese in giro se per caso non vi fosse un castello o un palazzo da acquistare.
Chiunque lo incontrasse rispondeva torcendo il naso tanto era il tanfo nauseabondo che emanava, ma dato che poteva pagare, alla fine trovò una risposta alla sua domanda e acquistò il più bel palazzo della città che si ergeva proprio di fronte a quello del Re.
Il Re aveva tre figlie, dato che si sentiva solo decise di chiedere la maggiore in moglie.
Tutti sapevano della bruttezza di quello strano personaggio, ma ne conoscevano anche la ricchezza estrema.
Il Re sebbene con timore fece chiamare sua figlia… che non appena seppe il motivo si mise a sbraitare e urlare e dare in escandescenze, tanto che il padre fu costretto a chiederle perdono.
-Sono dispiaciuto- fece scrivere il Re in risposta, -ma mia figlia maggiore sebbene lusingata rifiuta la vostra offerta.-
Sigismondo non si dette per vinto e qualche giorno dopo fece recapitare una nuova richiesta indirizzata alla seconda figlia.
Questa era ancora più bella della prima ma come la prima appena seppe il motivo per cui il padre l’aveva fatta convocare, si gettò a terra e si mise a strillare!
“Voi non mi volete bene! Voi mi volete dare in sposa ad una bestia!” Piangeva disperata strappandosi i capelli.
Il padre la tranquillizzò dicendo che non era obbligata e dunque non doveva più preoccuparsi.
Il Re scrisse nuovamente a Sigismondo scusandosi tanto e pregandolo di desistere.
Sigismondo tuttavia non ve aveva alcuna intenzione e lasciati trascorrere alcuni giorni scrisse nuovamente una lettera con la quale chiedeva in moglie la più piccola delle figlie. La più piccola in realtà era la più bella ed era anche la preferita del Re.
La più dolce e affabile delle creature.
Quando il padre la chiamò, ascoltò la richiesta in silenzio.
“Se me lo domandate io accetterò padre. Vorrei però avere un ritratto del signor Sigismondo, pensate che possa essere possibile?”
“Lo domanderemo.” Disse il Re, facendo scrivere una lettera.
Incerto se essere felice per il tenore differente della propria missiva o se triste perché forse a breve avrebbe potuto perdere la sua figlia più amata, il Re scrisse.
Sigismondo letta la lettera, chiamò immediatamente il più grande pittore e si fece fare un ritratto che venne immantinente recapitato al Re e a sua figlia Isadora.
“Mettetelo vicino alla finestra che possa vederlo bene!” Disse la fanciulla che si allontanava e si avvicinava al quadro.
“Guardate che begli occhi padre! Hanno il colore del cielo!” Diceva Isadora.
“Dove? Come?” Rispondeva il padre che in tutto quell’arruffio di capelli e unghie, non ci si raccapezzava proprio.
“Che bel sorriso… e guardate la pelle”, diceva ancora la fanciulla, “sotto questa sporcizia sembra proprio che abbia una pelle giovane e bella!”
“Davvero?” Chiedeva il padre che dubbioso si avvicinava a osservare quella patina di unto sulla faccia di quell’assurda creatura che per definire umana richiedeva una buona dose di coraggio.
“E i capelli, guardate, guardate! In questo punto il pittore ha messo un riflesso che sembra quello dell’oro, del grano maturo.”
Il Re che amava la figlia più della sua stessa vita pensava di amarla ancora di più per questa sua capacità di vedere cose che non c’erano.
“Figlia mia sono felice che vediate tutte queste belle cose, ma sapete bene che spesso i pittori esagerano nell’accentuare le bellezze dei soggetti reali.”
“No padre sono sicura. Potete scrivergli che accetto la sua richiesta e di qui a tre giorni sarò la sua sposa.”
Il Re un po’ contento e un po’ no, scrisse al suo vicino di casa che infine, la sua terza figlia, aveva accettato la proposta e che di lì a tre giorni sarebbe divenuta sua moglie.
Appena ricevuta la notizia, Sigismondo mandò a chiamare un parrucchiere e un sarto.
Poi fece preparare sette tinozze piene di acqua calda e si immerse nella prima.
Lo sporco cominciò a sciogliersi o forse sarebbe meglio dire a staccarsi come a volte si staccano certe parti di roccia dalle montagne.
La sua pelle adesso era quasi visibile.
Si immerse nella seconda vasca e chiese al suo cameriere di strofinare con grazia ma anche con decisione.
La pelle cominciava a tornare rosea…
Si immerse nella terza, nella quarta in cui aveva fatto mettere sali da bagno e oli profumati.
Dalla settima emerse come il bellissimo ragazzo che era.
Il parrucchiere faticò un po’ a domare quella incolta capigliatura che sembrava più una foresta inestricabile piuttosto che capelli umani.
Fu costretto a servirsi di cesoie come di solito si deve fare quando si deve potare un albero, ma alla fine taglia e pettina, taglia e districa, taglia e liscia, ravvia e acconcia ecco ricomparire il Sigismondo che faceva innamorare tutte le donne del mondo.
Tagliate anche le unghie indossò i meravigliosi abiti confezionati su misura per lui.
Parrucchiere e sarto non credevano ai loro occhi.
Nel frattempo aveva fatto recapitare alla sua futura sposa mille e mille regali.
Ogni ora il valletto chiedeva di poter consegnare una tiara di diamanti, un abito di seta sopraffina, orecchini di smeraldi… cappe, cappotti, bracciali, in fruscio di tessuti e scintillare di pietre preziose.
Le sorelle intanto nel vedere tutto quell’andirivieni sentivano montare un’invidia tale che temevano di diventare verdi come due ramarri e, se i primi giorni l’avevano presa in giro perché aveva acconsentito alle nozze con il mostro puzzone, ora nel vedere tutti quei regali non avevano grandi argomenti per continuare a deriderla e stizzite replicavano: “Sarà anche ricco ma la parola orrendo non sembra abbastanza per definirlo.”
Isadora cantava e serena rispondeva che a lei bastava fosse buono.
Trascorsi i tre giorni, Sigismondo salì sulla sua carrozza più bella e percorse i pochi metri che lo separavano dal palazzo reale.
Le sorelle vedendo quel bel giovane pensarono subito che fosse un messo mandato a prendere la sorella per non spaventarla troppo.
Isadora lo accolse con un inchino: “E lo sposo chiese?”
“Lo sposo sono io”, disse Sigismondo, “ho solo fatto barba e capelli.”
Isadora si avvicinò e riconobbe lo sguardo e il sorriso del ritratto.
“Sì,” disse “sei tu.”
Quella sera furono celebrate le nozze e nessuno aveva mai visto due sposi più felici.
Le due sorelle intanto rose dalla rabbia e dall’invida dicevano: “Daremmo l’anima al Diavolo per non vederli così felici.”
Quella stessa notte, notte in cui scadevano i sette anni, mentre tutti dormivano, il Diavolo venne a riscuotere e a pretendere il dovuto.
Sigismondo tremava, in un sacco aveva messo i suoi vecchi abiti logori e puzzolenti.
“Bene Sigismondo il tempo è scaduto tuttavia dato che mi hai fatto il regalo di due anime, la tua te la lascio.” Disse scoppiando in una risata diabolica che rimase nell’aria, mentre si dissolveva in una nuvola di fumo e fiamme.
Sigismondo e Isadora vissero felici e contenti.
Delle due sorelle invece, nonostante il Re le abbia fatte cercare in ogni dove, non si seppe mai niente.
Sparite, volatilizzate… come in una nuvola di fumo e fiamme.