Fiabe
Ovest Europa

La serpe d’oro

level 2
Difficoltà **

Riassunto: Una fanciulla è vittima delle angherie della matrigna e della sorellastra, che vorrebbero impedire il matrimonio con un principe. Vittima di un incantesimo che la trasforma in serpe, torna ad essere fanciulla gettandosi nel forno.

C’era una volta un ricco mercante, rimasto vedovo decise di risposarsi per poter dare alla figlia una madre.

La donna che scelse e sposò era vedova e a sua volta aveva una figlia a cui voleva dare un padre.

Il tempo passava e le due bambine crescevano.

Amalia, figlia del mercante diveniva giorno dopo giorno più bella mentre Anselma, al contrario forse anche per il suo carattere così arcigno e aspro, così livoroso verso tutto e tutti, si faceva sempre più brutta, quasi quella malignità le forgiasse i lineamenti.

Non aveva un sorriso ma un ghigno sempre rivolto al mondo intero.

Più passava il tempo e più le differenze si accentuavano non soltanto esteriormente ma soprattutto nei modi di fare e di agire, quasi questi fossero lo specchio del loro animo.

Ogni volta che le due fanciulle uscivano insieme, Amalia riceveva complimenti e sguardi gentili mentre chiunque poggiasse lo sguardo su Anselma lo distoglieva rapido sentendo una fitta quasi un dolore al cuore, come se il suo astio li avesse potuti pungere.

“Non voglio più uscire con lei!” Diceva stizzita alla madre, “mandala lontana, non la voglio tra i piedi. Mandala con le mucche in montagna e dalle anche della canapa da filare. Se torna con le mucche affamate o la canapa da filare la picchieremo per punizione, vedremo se così si toglie quel suo sorriso dalla faccia.”

La matrigna spedì Amalia in montagna.

Tre grosse mucche camminavano placide dietro la fanciulla sconsolata che a testa bassa, piangeva preoccupata parlando a sé stessa: -Se taglierò l’erba per dare da mangiare alle mucche non avrò il tempo di filare e se filerò, le mucche resteranno senza cibo e io sarò percossa con il bastone dalla mia matrigna.-

Le mucche sentendo quel pianto sommesso le dissero: “non preoccuparti a filare ci penseremo noi. Tu portaci l’erba e noi penseremo al resto, devi solo pronunciare queste parole:

“Mucca, Mucca

Fino a che non sarai stucca,

Filala tutta, filallallero,

Fila, il filo per intero!

Il tuo pascolo sarà fiorito

Fino a che non hai finito.”

Amalia scelse con cura le erbe più buone e saporite mentre le tre mucche con le corna filavano la canapa.

Il sole stava per tramontare e Amalia con le matasse sotto il braccio rientrò a casa felice, accompagnata dalle tre mucche che ricondusse alla stalla.

Anselma non poteva credere ai suoi occhi e un’altra ruga di astio si disegnò sulla sua fronte: “Dalle più canapa e domani rispediscila in montagna e se non fa quello che deve fare la batteremo con il bastone.”

Amalia non aveva ormai paura sapendo che poteva contare sulle sue mucche e così anche quel giorno fece ritorno con i suoi compiti portati a termine.

Anselma volle sapere come aveva fatto.

“Sono state le mucche.” Confessò con candore la sorella.

Anselma capì che così non avrebbe ottenuto niente e cercò di escogitare qualcos’altro per liberarsi di Amalia.

Pensa che ti ripensa ad Anselma infine venne in mente il piano perfetto, sapeva infatti che non troppo lontano da lì c’era un campo di ravanelli.

Il campo apparteneva ad una vecchia strega che certo non sarebbe stata felice che qualcuno raccogliesse le radici di cui andava tanto ghiotta e a chiunque passasse per quel luogo faceva capitare sempre qualche brutta sorpresa.

“Madre, ho voglia di ravanelli, manda Amalia a prenderli.”

La madre rispose che quella non era stagione e che non ce n’erano in giro.

“Io credo che se Amalia andrà nel campo della vecchia strega li potrà trovare.”

La madre capì subito il piano della figlia e chiamata Amalia le disse di andare a prendere i ravanelli.

Amalia cercò di convincere la matrigna, ma per ogni sua insistenza, la donna la spingeva fuori con forza e la minacciava con violenza.

La povera fanciulla si risolse così ad andare in quel campo stregato certa che sarebbe stata la sua fine.

Tra tutte quelle erbe e piante, vide il tarassaco, l’ortica, la cicoria, il cardo e la piantaggine e infine scorse un bel ciuffo di ravanelli.

Cominciò a tirare per sradicarli ma sembravano confittati nel terreno.

Amalia, allora, puntò i piedi e tirò con tutta la sua forza ed ecco infatti cha cadde tenendo in mano i ravanelli. Nel buco però c’erano due piccoli rospi che dormivano il loro letargo, in attesa della primavera.

“Oh poverini!” Disse subito Amalia dispiaciuta, cercando di riparare al danno e cercando altre piante, e foglie con cui ricoprirli a lasciarli al caldo.

Il primo rospo vedendo con quanta gentilezza Amalia si prodigasse disse:

“Oh fanciulla che ti ammanti come una lucente stella

Che tu risplenda come la luna e del doppio ti faccia bella.”

Il secondo rospo invece, che di essere svegliato non era stato punto contento disse:

“Poiché il tuo passo mi hai calpestato

E il mio sonno di rospo hai turbato

Ti tramuterai in serpe per il bacio del giorno

E fanciulla ritornerai per il cocente forno.”

Amalia non era certa di aver capito bene quelle ultime parole, tuttavia era sicura che si trattasse di una mezza maledizione.

La sua bellezza infatti era davvero raddoppiata si era fatta addirittura splendente, ma questo non riusciva a renderla felice poiché sapeva che anche quanto le aveva augurato il secondo rospo presto o tardi, si sarebbe avverato.

Anselma intanto nel vedere la sorella fare ritorno non soltanto viva ma addirittura più bella che mai non stava in sé dalla rabbia.

Amalia raccontò tutto e chiese di non uscire più, perché se avesse visto la luce del sole si sarebbe trasformata in una serpe.

Anselma contenta di poterla infine allontanare dagli sguardi e avere finalmente tutta la scena tutta per sé, ben volentieri la rinchiuse nella stanza più lontana della casa e per un po’ di tempo poté dimenticarla.

Non appena però calava il sole, Amalia apriva le finestre della sua stanza e la sua incredibile bellezza, così come aveva detto il primo rospo, brillava più che mai.

Una sera di primavera, attirato da quell’incredibile chiarore, quasi nella stanza vi avessero rinchiuso la luna stessa, passò sotto quelle finestre il Principe Gilberto.
“Cos’è che riluce così tanto?” Chiese incantato.

La sua meraviglia raddoppiò vedendo Amalia.

Passarono poche settimane e il Principe si recò dal padre di Amalia per chiederla in sposa.

Anselma e la madre per scoraggiare il Principe gli dissero che la fanciulla era vittima di un incantesimo e che se l’avesse colpita anche soltanto un raggio di sole si sarebbe trasformata in una serpe.

Il Principe era troppo innamorato per preoccuparsi di certe sciocchezze.

“Prenderò ogni precauzione, farò costruire per lei una carrozza blindata per poterla condurre al mio palazzo dove, saranno celebrate le nozze al calar del sole.” Disse risoluto.

Così qualche giorno più tardi, quando ancora il sole non era spuntato da dietro le colline, davanti alla casa di Amalia si fermò una carrozza interamente oscurata, ricoperta da un telo nero dal quale non poteva filtrare il più piccolo dei raggi.

Amalia vi salì non senza un po’ di timore, ad accompagnarla infatti c’erano Anselma e la matrigna.

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Il viaggio che era lunghissimo cominciò.

Nell’oscurità della carrozza Amalia tuttavia si sentiva abbastanza sicura ma all’improvviso le due donne si alzarono in piedi e sguainati due coltelli squarciarono il tetto della carrozza.

Amalia cercò di ripararsi ma un raggio di sole la colpì e il suo corpo di fanciulla divenne quello sinuoso di una serpe dorata, che silenziosa e veloce sgusciò via.

Giunte a palazzo le due donne in lacrime raccontarono l’assalto da parte di banditi.

“Forse credendo il trasporto di chissà quale tesoro hanno squarciato il telo della carrozza…” Raccontava singhiozzando falsamente Anselma.

“È successo l’irreparabile! La povera Amalia trasformata in una biscia viscida e orrenda… Chissà forse è quello che è sempre stata davvero…” Continuò frignando subdola.

Il Principe Gilberto era talmente disperato, che si dimenticò di fermare i preparativi che dal quel mattino fervevano in cucina e in ogni altro luogo del castello.

I cuochi continuavano ad alimentare il forno gettando legna perché fosse ben caldo, così senza accorgersene presero una fascina in cui si era nascosta la serpe dorata e la gettarono nel fuoco.

Da quelle fiamme, più splendente del sole e sfolgorante del fuoco, uscì Amalia, nuovamente tornata fanciulla.

La pelle rosea e luminosa!

Il cuoco cadde a terra dalla sorpresa nel trovarsi di fronte una fanciulla nuda e fresca come una rosa.

“Una ragazza è uscita dal forno!” Disse con gli occhi pieni di meraviglia.

Gilberto corse a vedere e subito abbracciò la sua sposa che credeva perduta.

Le nozze furono festeggiate e furono le più belle e gioiose che la storia ricordi.

Le due donne furono punite con il carcere e così, a parte loro, tutti gli altri vissero felici e contenti.

Barbara Lachi from: ITALO CALVINO, Fiabe Italiane, (prima edizione 1956), Edizioni Oscar Mondadori, Milano 2002. Titolo: La Rosina nel forno, N°64 vol. I; da: GHERARDO NERUCCI, N°32 La ragazza serpe, raccontata da Luisa vedova Giannini, in Sessanta novelle popolari montalesi (Firenze, 1880)

La fiaba è stata scritta da Barbara Lachi che ha utilizzato come fonte principale la raccolta Fiabe Italiane di Italo Calvino. Le versioni di Barbara Lachi sono nella maggioranza dei casi la riscrittura, al fine di evitare problemi dovuti ai diritti d’autore, ma molte delle fiabe hanno subito vere e proprie modifiche nell’andamento e nei finali.