Fiabe
Ovest Europa

La Fontana della Bellezza

level 2
Difficoltà **

Riassunto: C’era una volta un Re e una Regina che avevano una figliuola bruttissima, che lascia il regno per trovare fortuna altrove. E grazie alla sua bontà ci riesce. Nella sua strada troverà l’aiuto e riceverà dei doni magici che la porteranno a diventare una bellezza. Alla fine sposerà il Reuccio.

C’era una volta un Re e una Regina che avevano una figliuola bruttissima e contraffatta della persona, e non se ne davano pace.

La tenevano rinchiusa, sola sola, in una camera appartata e, un giorno il Re un giorno la Regina, le portavano da mangiare in una cesta.

Quando erano lì si sfogavano a piangere: “Figliuola sventurata! Sei nata regina e non puoi godere della tua sorte!”

Diventata grande, a sedici anni, lei disse al padre: “Maestà, perché tenermi rinchiusa qui? Lascia­temi andar pel mondo. Il cuore mi presagisce che tro­verò la mia fortuna.”

Il Re non voleva acconsentire: “Dove sarebbe lei andata, così sola e inesperta? Era impossibile!”

“Lasciatemi andare, o m’ammazzo!”

A questa minaccia disperata il Re non seppe resistere: “Figliuola mia, parti pure!”

Le diè quattrini a sufficienza, e una notte, mentre tutti nel palazzo reale dormivano, la Reginotta si messe in via.

Cammina, cammina, arrivò in mia campagna. Il sole, al meriggio, scottava, e lei si riparò sotto un al­bero.

Da lì a poco ecco un lamento: “Ahi! Ahi! Ahi!”

Lei, dalla paura, si voltava di qua e di là, ma non vedeva nessuno.

“Ahi! Ahi! Ahi!”

Allora, fattasi coraggio, si avvicinò a quel punto d’onde il lamento partiva e tra l’erba scoperse una lucertolina che agitava il moncherino della coda e nicchiava a quel modo.

“Che cosa è stato, lucertolina?”

“Mi han rotto la coda e non ritrovo il pezzet­tino. Oh, se tu me lo trovassi! Ti farei un gran regalo.”

La Reginotta, impietosita, si diè a frugare: e fruga e rifruga in mezzo a quelle erbe, finalmente eccolo lì!

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“Grazie, ragazza mia. Pel tuo regalo, scava qui sotto.”

Scavato un tantino, la Reginotta tirò fuori una cipolla poco più grossa d’una nocciuola.

“Che cosa debbo farne?”

“Tienila cara. Un giorno, forse, ti servirà.”

La Reginotta se la mise in tasca. Strada facendo, incontrò una povera vecchia con un sacco di grano sulle spalle.

A un tratto si spaccò il sacco e tutto il grano va per le terre. La vecchia cominciò a pelarsi.

“Non è nulla, disse la Reginotta. Ve lo raccat­terò io.”

“Ah, i chicchi son contati! Se ne mancasse uno solo, mio marito mi ammazzerebbe!”

E la Reginotta, con una santa pazienza, glielo raccattò tatto, chicco per chicco, senza che ne man­casse uno solo.

“Grazie, buona figliuola. Non posso darti altro che questo.”

Le dava un coltellino da due soldi, di quelli col manico di ferro.

“Che cosa volete me ne faccia?”

“Tienilo caro. Un giorno, forse, ti servirà.”

La Reginotta se lo mise in tasca.

Cammina, cammina, arrivò all’orlo d’un fosso pro­fondo.

Sentiva un belato tremolante.

Guardò e vide laggiù una capretta: “Capretta, che cosa è stato?”

“Son cascata nel fosso e mi son rotta una gamba.”

Scese laggiù, la prese in collo, e poi la fasciò così bene, con un fazzoletto, che quella, alla meglio, zop­picando, potè camminare.

“Grazie, ragazza. Che darti? Il mio sonaglino.”

“Che cosa vuoi me ne faccia?”

“Tienilo caro. Un giorno, forse, ti servirà.”

La Reginotta le staccò dal collare il sonaglino e se lo mise in tasca insieme alla cipolletta e al coltel­lino da due soldi.

Cammina, cammina, una sera capitò presso una fattoria fuori mano.

“Anime cristiane, datemi alloggio per questa notte!”

La padrona pareva una buona donna e si misero a ragionare in cucina, mentre la pentola bolliva.

“Chi siete? dove andate?”

La reginotta cominciò a raccontarle la sua storia.

“Zitta! Zitta, chiacchierona! Zitta! Zitta!”

Era la pentola che brontolava, ma la sentiva lei sola.

Non le diè retta e continuò un altro pochino, fino al punto della sua partenza dal palazzo reale.

“Zitta! Zitta, chiacchierona! Zitta! Zitta!” Era la pentola che brontolava, ma la sentiva lei sola.

Rimase colpita, e si fermò.

“E dopo?” Domandò la donna.

“Eccomi qui.”

Quando giunse il marito, quella donna gli riferì minutamente ogni cosa.

“Sai che ho pensato, marito mio? Noi abbiamo una figliuola che è un sole. Conduciamola dal Re. Gli diremo che è la sua figliuola resa così bella da una fata. La Reginotta la chiuderemo nel granaio e ve la lasceremmo morire.”

“Ma il Re come potrà credere?”

“Ci ho tutti i segnali.”

Così fecero.

Nel mezzo della notte, afferrarono la povera Reginotta, la chiusero in un granaio, e il giorno dopo condussero la loro figliuola al palazzo reale.

Il Re e la Regina, sentita quella storia della fata, rimanevano ancora incerti.

Allora la ragazza, indet­tata, disse: “Maestà, non vi ricordate di quando venivate nella mia camera colla cesta? E poi vi mettevate a piangere: figliuola sventurata, sei nata Regina e non puoi godere della tua sorte?”

Il Re e la Regina rimasero.

Quelle parole non poteva saperle nessun altro, all’infuori della loro figliuo­la!… Abbracciarono la ragazza e bandirono feste reali.

Ai due che l’avevano condotta regalarono un carico di monete d’oro.

Intanto la povera Reginotta, dopo tre giorni di stemperarsi in lacrime, cominciò a sentire anche fame.

Chiamò più volte, domandando per carità almeno un tozzo di pan duro!

Non accorreva anima viva. Allora rammentossi della cipolletta: “Poteva ingannare un po’ lo stomaco!”

E la cavò di tasca.

“Comanda! Comanda!”

“Da mangiare!”

Ed ecco pietanze fumanti, tovagliolo, posata, coltello, bottiglia e bicchiere.

Terminato di mangiare, ogni cosa sparì.

Cavò di tasca il coltellino.

“Comanda! Comanda!”

“Spacca quell’uscio per legna.”

E, in un attimo, l’uscio fu ridotto un mucchio di legna.

Cava di tasca il sonaglino e si mette a suonarlo.

Ed ecco una mandria di capre che non poteva contarsi.

“Comanda! Comanda!”

“Pascolate per questi campi, finché ci sia un filo d’erba.”

E in un minuto i seminati, le vigne, gli alberi di quella fattoria erano belli e distrutti.

La Reginotta partì e arrivò in una città dove c’era un Re che aveva l’unico suo figliuolo gravemente ammalato.

Tutti i medici del mondo, i più dotti, i più valenti, non n’avevano saputo conoscere la malattia.

Dicevano che era matto, ma ragionava benissimo.

Aveva soltanto dei capricci, e dimagriva, dimagriva, era ridotto una lanterna.

Un giorno il Reuccio si trovava affacciato a una finestra del palazzo reale, e vide passar la Reginotta: “Oh! Com’è brutta! La voglio qui! La voglio qui!”

Il Re, i ministri, i dottori tentarono di levargli di mente quella stramba idea, ma lui strepitava, piangeva, batteva i piedi: “Oh! Com’è brutta! La voglio qui! La voglio qui!”

Il Re la fece chiamare: “Ragazza, vorresti entrare a servizio?”

“Maestà, volentieri.”

“Dovresti servire il Reuccio.”

E si mise a servire il Reuccio.

“Bruttona, fai questo! Bruttona, fai quello.”

Il Reuccio non la comandava altrimenti: voleva rigovernasse i piatti.

Una volta al Reuccio gli venne la voglia dei bacelli, ed era d’autunno! Dove andare a pescarli?

“Bacelli! Bacelli!”

Non diceva altro, e rifiutava di mangiare.

Il Re avrebbe pagato quei bacelli a peso d’oro.

La Reginotta rammentossi della cipolletta e la cavò di tasca.

“Comanda! Comanda!”

“Un bel piatto di bacelli!”

Ed ecco un bel piatto di bacelli!

Il Reuccio se li mangiò con gran gusto, e dopo disse: “Mi sento meglio!”

Un’altra volta gli venne voglia d’un pasticcio di lumache.

Ma non era la stagione.

“Pasticcino di lumache! Pasticcino di lumache!”

Non diceva altro, e rifiutava di mangiare.

Il Re avrebbe pagato quelle lumache a peso d’oro.

La Reginotta ricorse di bel nuovo alla cipolletta.

“Comanda! Comanda!”

“Un pasticcino di lumache!”

Il Reuccio se lo mangiò con gran gusto, e dopo disse: “Mi sento assai meglio.”

Infatti, aveva già messo un po’ in carne.

Un’altra volta finalmente gli venne la voglia delle polpettine di rondine.

Non era la stagione. Dove andare a pescarle?

“Polpettine di rondine! Polpettine di rondine!”

Il Re quelle rondini le avrebbe pagate a peso d’oro.

La Reginotta, al solito, cavò di tasca la cipolletta.

“Comanda! Comanda!”

“Polpettine di rondine!”

Il Reuccio se le mangiò con gran gusto e dopo disse: “Sto benissimo.”

Era diventato fresco come una rosa, non si rammentava neppure d’essere stato malato.

E, un giorno, vista la Reginotta: “Oh, come è brutta! esclamò. Ma chi è costei? Cacciatela via!”

La Reginotta andò via piangendo: “La sua stella voleva così!”

E incontrò la vecchia, quella del grano.

“Che cosa è stato, figliuola?”

In poche parole le raccontò l’accaduto.

“Stà allegra, figliuola mia! Ti aiuterò io. Vieni con me.”

E la condusse davanti a una grotta.

“Ascolta. Lì dentro c’è la fontana della bellezza. Chi può tuffarvisi a un tratto, diventa bella quanto il sole. Ed ora, bada bene: questa grotta ha quattro stanze. Nella prima c’è un Drago; buttagli in gola la cipolletta, e ti lascerà passare. Nella seconda c’è un gigante tutto coperto d’acciaio, con una mazza di ferro brandita, mostragli la lama del coltellino, e ti lascerà passare. Nella terza c’è un leone affamato: come ti viene incontro, scuoti il sonaglino: non ti toccherà neppur esso. Ma non bisogna aver paura, se no, addio, sei spacciata. Nella quarta stanza c’è la fontana. Appena entrata lì, senza esitare un momento, tuffati dentro l’acqua con tutti i vestiti.”

La Reginotta entrò.

Ed ecco il drago con tanto di bocca, che stendeva il collo per inghiottirsela.

Gli butta in gola la cipolletta, e quello si ritira, si attorciglia chetamente e si mette a dormire. Lei passa oltre.

Ed ecco il gigante tutto coperto d’acciaio, che si slancia incontro brandendo la mazza, cacciando terribili urli.

Gli mostra la lama del coltellino, e il gigante va a rannicchiarsi in un canto.

La Reginotta passa oltre nella terza stanza. Ed ecco il leone, colle fauci spalancate, colla coda rizzata che faceva tremar l’aria.

Lei scuote il sonaglino e sbuca un branco di capre.

Il leone si slancia su di esse, le sbrana e se le divora.

E lei passa oltre. Vede la fontana, e dentro, con tutti i vestiti. Si sentì diventar un’altra: lei stessa non si riconosceva.

Da che il mondo è mondo, non s’era mai vista una bellezza pari a quella.

Tornò nella città, dov’era il Reuccio e prese in affitto una casa dirimpetto al palazzo reale.

Il Reuccio rimase sbalordito: “Oh, che bellezza! Oh, che bellezza! Se fosse sangue reale, la prenderei per moglie.”

Il Re, che voleva bene al figliuolo quanto alla pupilla degli occhi, mandò subito un ministro a domandarle se mai fosse di sangue reale.

“Sono. Ma se il Reuccio mi vuole, dovrà farmi tre regali.”

“Che regali dovrebbe fare?”

“La cresta del gallo d’oro,

La pelle del Re Moro,

Il pesce senza fiele;

Se no, non mi può avere.

Gli do tempo tre anni.”

Il Reuccio partì alla ricerca del gallo d’oro, che si trovava in certi boschi pieni di animali feroci.

E c’era un gran pericolo: chi lo sentiva cantare, moriva.

Dopo mille fatiche e mille stenti, una mattina il Reuccio scoperse il gallo d’oro appollaiato su d’un albero.

Tirargli e ammazzarlo fu tutt’una. E tornò trionfante.

“Va bene” Disse la Reginotta. “Mettetelo lì. Aspetto la pelle del Re Moro.”

Il Re Moro era terribile.

Con lui, fin allora, non ce n’aveva potuto nessun guerriero.

Il Reuccio mandò a sfidarlo: ne voleva la pelle.

“Venga a prendersela.”

Si combatterono colle spade e il Re Moro lo aveva conciato così bene, che il Reuccio grondava sangue da tutte le parti.

Ma in un punto questi ebbe l’agio d’assestargli un colpo al cuore.

“Son morto!”

Il Reuccio lo scorticò con diligenza e portò la pelle alla Reginotta.

“Va bene. Mettetela là. Aspetto il pesce senza fiele.”

Questo era più difficile. Fra tante migliaia di pesci va a pesca giusto giusto quello lì!

Eppure bisognava pescarlo. Prese canna, lenza ed amo, e se n’andò in riva al mare.

Stette mesi e mesi: tempo perduto!

E a compire i tre anni restavano intanto soli otto giorni!

L’ultimo giorno, tirò fuori un pesciolino di meschina apparenza.

La fortuna lo aveva aiutato: era il pesce senza fiele.

“Va bene.” Disse la Reginotta. “Mettetelo lì. Ora si mandi dal Re mio padre. Senza il suo consenso, non voglio sposarmi.”

Spedirono un ambasciatore, ma l’ambasciatore tornò presto: “Quello dice che siamo matti. La sua figliuola l’ha lì, chi volesse vederla.”

“Dunque tu ci hai corbellati!”

E la misero in prigione. Le rimaneva in tasca il sonaglino.

Disperata, si diè a sonarlo furiosamente.

Accorse la capretta.

“Ah, capretta, capretta! Guarda a che sono arrivata! Non ho che te, per aiutarmi.”

“Prendi quest’erba, masticala bene e trattienila in bocca.”

E intanto che masticava, la Reginotta ritornava bruttissima e contraffatta della persona come una volta.

“Per ritornar bella, ti basterà sputarla fuori. Ora zitta, e vienimi dietro.”

Uscirono di prigione senza che le guardie e i carcerieri se n’accorgessero e la Reginotta in quattro salti andò a presentarsi ai suoi genitori.

Come la videro, il Re e la Regina capirono subito l’inganno.

E, sentito il tradimento di quel marito e quella moglie, li mandarono ad arrestare e, d’unita alla loro figliuola, li fecero buttare in prigione.

La Reginotta sputò fuori l’erba e ridiventò bellissima.

Da che il mondo era mondo non si era mai vista una bellezza pari a quella!

Fu mandato a chiamare il Reuccio, si sposarono, e vissero fino a vecchi felici e contenti.

Luigi Capuana, C’era una volta… Fiabe, Fratelli Treves Editori, Milano 1885