Racconti
Ovest Europa

Il pesce dei desideri

level 3
Difficoltà ***

Riassunto: Un pescatore grazie ad un pesce magico, diventa padre tre bambini. Divenuti grandi, uno di questi parte e, sconfitto un drago diventa re. Il desiderio di avventura lo porta in una foresta misteriosa dove rischia di morire. Lo salveranno i fratelli.

Cera una volta un pescatore molto povero, lui e la moglie vivevano nella miseria più profonda ma la loro tristezza più grande tuttavia era quella di non poter avere figli.

Un giorno, come ogni giorno della sua grama vita, il pescatore si recò a pescare e nella sua rete rimase impigliato il più magnifico dei pesci.

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Non appena lo ebbe tirato fuori dall’acqua, il pesce che era ricoperto di squame dorate cominciò a supplicare il pescatore che gli risparmiasse la vita: “Se mi lasci andare, ti prometto che la tua rete si riempirà di pesci e che non dovrai più soffrire la fame!”

Il pescatore che era un uomo buono e sensibile, volle credere alle parole di quella creatura capace di parlare e subito lo liberò.

Appena che ebbe gettata nuovamente la rete, questa si riempì con tanta velocità che quasi la piccola barca stava per rovesciarsi, l’uomo rideva dalla gioia e ringraziava il magico pesce di averlo reso tanto fortunato.

Tornato al porto si mise a vendere il pesce in eccesso e l’altro lo portò alla moglie.

La donna vedendo quella pesca straordinaria volle conoscerne il motivo, e tanto insistette che infine l’uomo raccontò del suo incontro.

La donna si arrabbiò moltissimo e cominciò ad accusare il marito di stupidità perché certamente quel pesce che aveva rigettato in acqua valeva molto di più di quelli pescati, e soprattutto dato che era così grande e bello sicuramente doveva essere anche squisito.

“Non capiterà due volte la stessa fortuna, ma se dovessi pescarlo di nuovo, voglio che lo porti a casa perché lo voglio cucinare.” Ordinò la moglie.

Passarono i giorni e i mesi e il pesce e i soldi finirono.

Il pescatore fece ritorno al lago non sapendo neppure lui cosa augurarsi.

Appena gettò la rete la sentì appesantirsi e con forza e rapidità la tirò in barca.

Tra le maglie della sua rete ancora una volta c’era il grande pesce dalle squame d’oro che subito come la volta precedente cominciò a supplicarlo perché lo liberasse.

“Ma mia moglie…” Protestava debolmente il pescatore commosso per le lacrime del pesce…

Ancora una volta si lasciò convincere e lo vide scomparire tra le acque scure e profonde del lago.

La sua rete tornò a riempirsi di pesci e nessuno in paese aveva mai visto una pesca più proficua e ricca, ma neppure questo riuscì a calmare le ire della moglie, quando seppe che per la seconda volta, il marito aveva restituito la libertà al magico pesce dorato.

La moglie fece promettere al marito che, semmai avesse avuto la fortuna di pescarlo nuovamente, lo avrebbe portato a casa e che se non lo avesse fatto, lei si sarebbe sbarazzata di lui.

Passò un anno e l’uomo a malincuore tornò a pescare sperando che quell’animale meraviglioso si tenesse alla larga ma, appena gettò la sua rete, quasi fosse un richiamo per il pesce dorato, questi vi rimase impigliato.

Il pesce piangeva, supplicava, ma l’uomo si era tappato le orecchie per non sentirne i lamenti e tiratolo in barca fece ritorno a casa.

Lo misero in un’enorme vasca e la moglie, guardandolo sciorinava le mille ricette con cui avrebbe cucinato quella carne saporita.

Il pesce chiese allora di poter esprimere le sue ultime volontà.

L’uomo commosso lo ascoltò.

“Vorrei che la mia carne la mangiasse la donna, il brodo lo deve bere la cavalla e la mia testa la rosicchierà la vostra cagnetta. Le mie lische piantatele nell’orto.”

Dopo averlo ucciso, si attennero scrupolosamente a quanto aveva richiesto e nella notte accadde un fatto straordinario che aveva di miracoloso, la donna infatti partorì tre bellissimi gemelli che chiamarono Alboino, Baldovino e Clarenzio.

Non furono però le uniche nascite di quella notte, perché nacquero anche tre cani e tre puledri e dal terreno dove avevano infisso le lische crebbero tre magnifiche spade.

Il cuore del pesce fu conservato in un barattolo così come aveva richiesto:

“Conserverete anche il mio cuore… Se un giorno ad uno dei vostri figli dovesse mai accadere qualcosa, il mio cuore diventerà nero e stillerà sangue.”

L’uomo lo mise in alto su uno scaffale e per molto tempo se ne dimenticarono tanto la loro vita scorreva tranquilla e serena.

Passarono gli anni, i bambini crebbero e impararono ad andare a cavallo divenendo abili cacciatori.

I tre gemelli sembravano fatti con uno stampo tanto erano uguali, nessuno infatti riusciva a distinguerli, poiché non c’era un dettaglio o un lineamento di cui differissero.

Crebbero belli e forti finché un giorno Alboino disse: “Voglio vedere il mondo, vedere cosa c’è al di là di questa terra.”

Salì sul cavallo e partì accompagnato soltanto dal suo fedele cane.

Cavalcò per giorni finché giunto in un villaggio venne a sapere che un grosso drago con sette teste minacciava ogni giorno la gente e che pretendeva in pasto una fanciulla.

Quel giorno era stata estratta a sorte la figlia del Re, il quale, pur di salvarla l’aveva promessa in sposa a chiunque l’avesse salvata.

Alboino certo del suo valore, di quello della sua spada e del suo cane si offrì volontario.

Non appena le teste del drago uscirono con un tremore dalle viscere della terra, Alboino cominciò a tirare fendenti senza pietà mentre il suo cane mordeva e sbranava.

Dopo una lunga battaglia le sette teste giacevano al suolo.

La gente del regno e il Re in persona, che fino a quel momento si erano tenuti lontani si precipitarono sul campo di battaglia per ringraziare e osannare il vincitore. Furono festeggiate le nozze e Alboino divenne Re.

Il suo spirito avventuroso tuttavia non sembrava trovare riposo e dopo qualche anno passato ad amministrare il regno insieme alla sua amata, decise che era giunto il momento di ripartire.

C’erano infatti delle voci che dicevano che non lontano dal suo regno, vi fosse una foresta incantata popolata di creature misteriose.

Alboino non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di partire e così una mattina, nonostante le insistenze e le recriminazioni della Regina, salì a cavallo e si inoltrò nella foresta.

Addentrandosi nel profondo sentiva intorno a sé i canti di uccelli mai ascoltati, ammirava le forme di animali che avevano popolato solo i suoi sogni e non vedeva l’ora di mettersi sulle loro tracce.

Cammina, cammina però nella foresta era giunta la sera e Alboino decise che era meglio trascorrere la notte in una grotta.

Mentre stava seduto vicino al fuoco, ecco entrare una vecchia a chiedere riparo.

“Venga pure”, rispose cortese Alboino facendola accomodare accanto al fuoco.

La vecchia si avvicinò tremolante sorreggendosi ad un bastone ritorto ma appena gli fu abbastanza vicino, perse il suo fare gentile e toccandoli con il bastone, trasformò lui, il suo cavallo e il suo cane in statue di sale.

“Questo vendicherà la morte del mio amatissimo drago!” Sisse mentre soddisfatta grattava un po’ di sale dalla statua di Alboino per condire la pietanza che cuoceva sul fuoco.

Molto lontano da quella grotta, nella casa del pescatore, il cuore del pesce che fino a quel momento era sempre stato di un bel rosso vivo, si fece nero e grinzoso e cominciò a stillare gocce di sangue.

I due fratelli capirono che Alboino aveva bisogno di loro.

“Andrò io”, disse allora Baldovino “e se non farò ritorno e il cuore stillerà ancora più sangue vuol dire che avrò fallito e che abbiamo bisogno di te.”

Baldovino partì e arrivato nel regno del fratello, vide che le persone gli correvano incontro felici salutandolo!

“Re Alboino! Re Alboino! Avete fatto ritorno!”

La Regina, sposa di suo fratello non riconoscendolo volle abbracciarlo.

“Non pensavo che ti avrei rivisto,” disse la Regina tra le lacrime “nessuno ha mai fatto ritorno dalla foresta degli incanti.”

Baldovino lasciò che tutti lo credessero il fratello gemello, ma quella notte nel letto con la regina volle mettere tra loro la propria spada.

“È molto meglio così credimi.” Rispose alla Regina che gliene chiedeva il motivo. “Non sappiamo con cosa sono entrato in contatto laggiù nella foresta, dove ho visto tante creature magiche e strane, magari tra qualche giorno.” Le disse girandosi dall’altra parte, mentre faceva finta di addormentarsi per la tanta stanchezza.

Appena il sole spuntò dietro l’orizzonte Baldovino disse che doveva tornare nella foresta.

La Regina non sapeva cosa dire tanta era la sorpresa per quella idea che considerava assurda già la prima volta e lo supplicò in ogni modo ma, Baldovino che voleva ritrovare il fratello, fu irremovibile.

Salutata la Regina, si addentrò come Alboino tra i rovi e gli alberi di quel bosco oscuro.

Vagò per tutto il giorno in cerca del fratello, chiamandolo a gran voce, senza ricevere risposta, finché esausto trovò riparo proprio nella grotta.

Nel buio non riusciva a distinguere niente se non qualche strana roccia a cui non dette troppo peso, e acceso un fuoco si mise scaldarsi pensando a cosa fare l’indomani.

I suoi pensieri furono improvvisamente interrotti dall’arrivo di una vecchia che chiese ospitalità.

“Ma certo”, rispose gentilmente Baldovino, “mi farete compagnia.”

La vecchia si avvicinò appoggiandosi al suo bastone ma appena fu abbastanza vicina toccò Baldovino il suo cane e il suo cavallo trasformandoli in statua come aveva fatto con il povero Alboino.

Il cuore del pesce si fece una palla grumosa e nera e il sangue sgorgava come da una piccola fonte.

Clarenzio non attese neppure che sorgesse il sole e salito in groppa al suo cavallo si mise sulle tracce dei fratelli.

Lungo la strada alle persone che incontrava chiedeva se per caso non avessero visto un uomo come lui qualche giorno prima, tutti gli rispondevano ridendo pensando che volesse prenderli in giro.

“Re Alboino quanto siete buffo! Anche qualche giorno fa ci avete fatto lo stesso scherzo, andare nella foresta degli incanti non vi ha fatto bene!” Clarenzio ringraziò e spronando il suo cavallo e il suo cane come i fratelli si diresse nella foresta.

“Fedele”, disse rivolgendosi al suo cane che aveva un fiuto infallibile, “portami dai miei fratelli!”

Fedele si mise ad annusare il terreno e senza indugi lo condusse dritto nella grotta, di fronte alla statua di sale di suo fratello Baldovino.

“Questa è opera di magia,” disse Clarenzio rivolto a Fedele, che guaì per assentire “dobbiamo restare attenti.”

Clarenzio accese il fuoco e si mise in attesa con Fedele seduto al suo fianco, ed ecco sul fare della sera, come le altre volte entrare la vecchia, che con voce tremula chiedeva la possibilità di scaldarsi.

Fedele ringhiò silenziosamente mostrando i denti, come se avesse annusato le sue cattive intenzioni e Clarenzio capì che proprio quella vecchietta doveva essere la chiave del mistero.

Sguainò la spada e con un balzo le fu addosso.

Atterrata e atterrita, la vecchia piangeva e cercava di rassicurare il giovane: “Non mi incanti con le tue parole, brutta strega, sono certo che la colpa di tutto questo è tua! Libera subito i miei fratelli oppure con la mia spada ti taglierò la testa!”

La vecchia ubbidì tremante e tirato fuori un unguento magico cominciò a sfregare le statue presenti nella grotta.

A quel magico tocco una dopo l’altra ripresero vita.

Non c’erano soltanto i fratelli ma tanti altri cavalieri come loro rimasti prigionieri di quell’incantesimo, che si stiravano e sgranchivano le membra rimaste per tanto tempo immobili, guardandosi increduli e felici tra di loro.

Approfittando della confusione la strega cercò di fuggire, allontanandosi di soppiatto ma Fedele e i suoi fratelli le furono addosso e in un attimo misero fine alla sua vita di strega.

L’incubo era finito, tutti insieme poterono fare ritorno al castello dove in trepidante attesa c’erano la regina e sudditi.

Immaginate la sorpresa di tutti ma soprattutto della Regina nel vedere il suo sposo triplicato… ma spiegato il mistero si fecero grandi feste e vissero tutti felici e contenti.

Barbara Lachi from: ITALO CALVINO, Fiabe Italiane, (prima edizione 1956), Edizioni Oscar Mondadori, Milano 2002. Titolo: Il Drago dalle sette teste, N°58 vol. I; da: GHERARDO NERUCCI, N°8 Il Mago dalle sette teste, raccontata da Elena Beccherini, in Sessanta novelle popolari montalesi, (Firenze 1880)

Poiché la versione di Calvino, conteneva un episodio identico alla nostra fiaba di FORTE, FORTISSIMO E SPACCAFERRO, ho modificato il racconto togliendolo dalla nostra versione, dando maggiore risalto agli altri episodi della storia.