Fiabe
Ovest Europa

In silenzio

level 2
Difficoltà **
Temi : Eroi Famiglia

Riassunto: Una fanciulla deve fingersi muta per salvare la vita ai suoi due fratelli. Negli anni del suo silenzio forzato dovrà affrontare numerose prove anche a discapito della propria vita.

C’era una volta una fanciulla che aveva due fratelli più piccoli, dei quali si prendeva cura in mille modi, inventava per loro delle fiabe, cucinava cibi squisiti e la sera prima di dormire rimboccava le loro coperte.

Un giorno mentre stavano giocando nei boschi passò un uomo con un grosso sacco e vedendo che erano da soli, li mise nel sacco e li portò via.

La sorella non vedendoli tornare uscì a chiamarli.

Li cercò in ogni dove e la sua disperazione cresceva di ora in ora.

Giunse la sera e dato che i due fratellini non avevano fatto ritorno, la fanciulla decise di mettersi in viaggio alla loro ricerca.

Cammina, cammina, nel fitto del bosco scorse una piccola casa nascosta.

La porta era socchiusa, entrando vide una fila di lettini in cui dormivano tanti e tanti bambini.

In punta di piedi, per non svegliarli, percorse l’intero dormitorio cercando i volti familiari dei suoi fratelli.

In fondo alla stanza finalmente li trovò, addormentati come tutti gli altri.

Si avvicinò felice, e accarezzandoli dolcemente sulla fronte li svegliò.

“Per fortuna state bene, mi sono talmente preoccupata.”

I due bambini la guardarono con uno sguardo pieno d’ansia e terrore.

“No, sorellina non stiamo affatto bene.”

Scostate le coperte mostrarono ciò che restava del loro corpo.

Sembrava che una qualche magia se li stesse “mangiando” perché pezzettino dopo pezzettino svanivano nel nulla come consumati.

La sorella trattenne a stento un grido di raccapriccio: “Come posso aiutarvi? Cosa posso fare per salvarvi?”

“Devi restare in silenzio per sette anni. Non potrai parlare neppure se ne valesse della tua vita. Se riuscirai a farlo riavremo la nostra libertà e la nostra vita altrimenti spariremo nel nulla.”

La fanciulla abbracciò i suoi fratelli e uscì dalla casa.

Camminò per tutta la notte finché stremata si addormentò sotto un grande albero.

Uno squillo di tromba e un festoso abbaiare di cani la risvegliò.

Non solo abbaiavano ma adesso come se avessero scoperto chissà quale preda le leccavano la faccia per assicurarsi il suo totale risveglio.

“Buongiorno.” Le disse il giovane Re, che dall’alto della sua cavalcatura la stava guardando.

La fanciulla non rispose ma sorrise.

“Cosa fai addormentata nel bosco?”

La fanciulla continuava a sorridere e a gesti indicando le proprie labbra e scuotendo la testa fece capire che non sapeva parlare.

Il Re disse: “Vorrei portarti con me al mio castello, vuoi venire?”

La fanciulla fece cenno di sì con la testa.

Passarono i giorni, i mesi e il Re che si era innamorato, le chiese di sposarla.

La fanciulla acconsentì felice.

Tuttavia nel regno, non tutti si rallegrarono per quella unione.

La madre dello sposo, infatti, non amava particolarmente la fanciulla e nei mesi precedenti più volte aveva agito contro di lei, e alla notizia del matrimonio reagì molto violentemente.

Il figlio tuttavia non si lasciò convincere né intimorire e pochi giorni dopo furono celebrate le nozze.

Qualche mese più tardi il Re fu costretto a lasciare il castello.

In un sobborgo del regno si era sollevata una sommossa e il Re sebbene a malincuore dovette partire per risolverla.

Abbracciò la sua sposa che aspettava un bambino e facendole mille raccomandazioni, con gesti e sorrisi in un linguaggio tutto loro che non aveva più bisogno di parole i due sposi si salutarono.

Mentre il Re era lontano la fanciulla fu in balia della vecchia Regina.

Appena giunse il tempo della nascita, la Regina le fece portare via il bambino.

Poi chiamato un fedele servitore gli disse di condurla lontano vicino al mare, ucciderla e gettarne il corpo ai pesci.

Scrisse al figlio una lettera in cui raccontava che purtroppo il parto era stato difficile e che né la madre né il bambino si erano salvati.

Spaventata e preoccupata per le sorti del figlio, la fanciulla piangeva disperatamente, ma sapeva bene che non poteva pronunciare neppure una parola per convincere quell’uomo a lasciarle salva la vita.

Giunto in riva al mare l’uomo la fece inginocchiare di fronte a sé prendendola per i capelli; poi sollevò il coltello per tagliarle la testa.

La fanciulla lo guardava piangendo in silenzio, il suo sguardo pieno di dolore valse più di mille parole.

Lentamente l’uomo abbassò il braccio, e con un colpo netto le tagliò i capelli, le disse di spogliarsi e in cambio le dette la sua camicia.

“Vai” disse, “vai prima che cambi idea. Corri lontano e non farti più vedere.”

La fanciulla corse a perdifiato lungo la spiaggia fino ad arrivare ad un’insenatura.

Con i capelli corti sembrava proprio un ragazzo.

Abbattuta e triste si sedette a guardare il mare.

All’orizzonte vide comparire una grande nave da cui venne calata una scialuppa.

Giunta a riva ne scesero alcuni soldati, venuti a fare rifornimenti.

Vedendo quel ragazzo mezzo nudo sulla spiaggia lo invitarono ad andare con loro in battaglia.

La giovane fece capire che non sapeva parlare ma che era ben felice di seguirli.

Salita sulla nave venne vestita e fatta rifocillare ma di lì a poche ore si ritrovò come tutti gli altri soldati a guerreggiare, caricando il cannone e a tirare di spada nell’assalto alla nave nemica. Trascorsero così alcuni anni tra battaglie e viaggi in mare.

La fanciulla si fece onore, così quando chiese di poter lasciare la nave, acconsentirono a malincuore tanto si era dimostrata coraggiosa.

Cammina, cammina la fanciulla vagò per giorni in cerca di un riparo, di un luogo dove potersi risposare e giunse infine vicino ad una caverna.

Nascosta tra i cespugli vide uscire dodici briganti.

La fanciulla entrò in fondo alla grotta dove trovò una tavola riccamente imbandita.

Affamata mangiò da ogni piatto, piluccando le pietanze, un po’ da questo e un po’ da quello, in maniera che non se ne potessero accorgere.

Appena fu sazia tornò a nascondersi nel bosco.

I briganti, tuttavia da esperti quali erano, si accorsero subito che qualcuno aveva assaggiato il loro cibo e si misero a cercare il responsabile in ogni anfratto della grotta.

Sarà stato un topo, conclusero visto che la ricerca si era rivelata infruttuosa.

Tuttavia nei giorni seguenti, quei piccoli bocconi rubati cominciarono a far spazientire il capo dei briganti che decise di tendere una trappola.

La fanciulla dal suo nascondiglio, osservava i loro spostamenti, anche quella mattina certa che tutti fossero usciti si recò furtiva nella grotta e cominciò a fare i soliti piccoli assaggi.

Appena si avvicinò all’ultimo piatto si sentì afferrare e sollevare da due grosse mani.

“Ti ho preso furfante finalmente!” Esclamò con voce cavernosa il brigante.

“Rubare in casa dei ladri!” Diceva scuotendo bene bene quella che credeva essere un ragazzo. “Ora che sai dove ci nascondiamo sono costretto a ucciderti!”

La fanciulla colta di sorpresa aveva gli occhi pieni di paura e quell’ultime parole certo non la rincuoravano.

Tuttavia con gesti e cenni riuscì a fermare quello scuotimento e far capire al capo dei briganti che era muta e dunque non poteva parlare e dire niente a nessuno.

Il brigante attese il ritorno dei suoi e raccontò quanto era accaduto, all’unanimità decisero di farlo entrare nella banda, dato che infondo era stato davvero coraggioso o molto sciocco a rubare proprio a loro.

Il tempo passava e la fanciulla, spesso pensava al destino dei propri fratelli, al suo sposo e soprattutto al suo bambino e sentiva il cuore contrarsi per il dolore.

Un giorno di molti anni dopo, mentre i briganti stavano seduti al grande tavolo, sentì che parlavano di un piano per un nuovo furto.

Un furto che avrebbe cambiato per sempre le loro vite poiché erano intenzionati a rubare nel castello del Re.

La fanciulla sobbalzò ma nessuno le prestò attenzione presi come erano nel mettere a punto i dettagli.

“Verrai anche tu!” Disse il capo dei briganti con il suo solito vocione.

Lei, però stava già pensando a come avvisare il suo sposo.

La notte mentre tutti dormivano scrisse un messaggio che affidò ad un colombo viaggiatore.

Quando l’indomani i briganti e la fanciulla si recarono al castello trovarono l’esercito ad accoglierli. I briganti riuscirono a fuggire, tutti tranne uno: la fanciulla che subito venne condotta in prigione.

Dalla finestra delle segrete, si vedevano i soldati lavorare alacremente alla costruzione di una forca, alla quale l’indomani avrebbero impiccato colei che tutti credevano essere un brigante.

La fanciulla piangeva e non per la morte imminente ma perché mancava solo un giorno allo scadere della sua promessa di silenzio ed era preoccupata per la sorte dei suoi fratelli.

Quando si presentò il boia, a gesti e a cenni chiese una semplice grazia che l’esecuzione fosse rimandata di un giorno.

Il Re sentita la richiesta le concordò un altro giorno di vita: “Uno in più non cambia niente!” Disse il Re.

All’alba del mattino successivo tuttavia, la fanciulla venne condotta sulla forca, avrebbe voluto ancora qualche ora non essendo sicura se il tempo della promessa fosse davvero scaduto, ma il Re fu irremovibile.

Il boia le aveva già messo la corda intorno al collo quando nel cortile irruppero due cavalieri.

“Fermatevi! Fermatevi! Maestà, quella che state per impiccare non è un brigante ma nostra sorella!”

Poi rivolgendosi a lei dissero: “Parla pure, adesso siamo salvi!”

La fanciulla cominciò con un fil di voce, tanti erano gli anni trascorsi che le sembrava di non saper più parlare.

Facendosi coraggio tuttavia cominciò a raccontare proprio dalla fine: “Sono io che vi ho avvisato della rapina, scrivendo un messaggio che il mio colombo sono certa vi abbia recapitato. Tuttavia quello che non sapete è che sono la vostra sposa che vi avevano detto essere morta. È stata vostra madre a ordinare il mio assassinio e quello di nostro figlio. Di lui non ho più notizie…”

Dalla folla si fece avanti la vecchia lavandaia: “Vostro figlio è salvo, non ho avuto il coraggio di annegarlo come mi aveva chiesto la Regina e l’ho cresciuto tenendolo nascosto e amandolo come se fosse mio.” Disse, mentre spingeva davanti a sé, un bellissimo bambino.

Il Re sorpreso e commosso riabbracciò la sposa e il figlio ritrovati.

La madre era morta anni prima colpita da un fulmine che l’aveva arsa viva.

Il suo ritratto venne comunque rimosso e buttato nel fuoco.

Tutti vissero felici e contenti e la sposa che per anni era rimasta in silenzio, raccontò, raccontò, raccontò…

Barbara Lachi from: ITALO CALVINO, Fiabe Italiane, (prima edizione 1956), Edizioni Oscar Mondadori, Milano 2002. Titolo: Muta per sette anni, N°31 vol. I; da: DOMENICO GIUSEPPE BERNONI, Fiabe popolari veneziane, N°13 La sorella muta per set’anni, (1893, Venezia)

La fiaba è stata scritta da Barbara Lachi che ha utilizzato come fonte principale la raccolta Fiabe Italiane di Italo Calvino. Le versioni di Barbara Lachi sono nella maggioranza dei casi la riscrittura, al fine di evitare problemi dovuti ai diritti d’autore, ma molte delle fiabe hanno subito vere e proprie modifiche nell’andamento e nei finali.